In aula • 26.07.2023
Le radici campane, esattamente sorrentine, dello chef Umberto De Martino si ritrovano tutte nella sua filosofia di cucina stellata, rispettosa della tradizione, ma rivista in una versione più essenziale e moderna che punta sulla materia prima e sulla stagionalità degli ingredienti. Chef “per caso”, il suo primo desiderio infatti era di fare l’ingegnere meccanico, giovanissimo decide che la cucina sarà la sua professione e inizia a lavorare come commis nei locali della Costiera. La prima importante esperienza è in Germania al ristorante “La Scala” ad Amburgo al fianco di Mario Zini, che gli insegna tutto, dalle tecniche di cucina fino all’importanza della conoscenza e selezione delle materie prime. Si susseguono quindi esperienze in ristoranti stellati italiani, tra cui la Ciau del Tornavento a Treiso, la Torre del Saraceno di Gennaro Esposito a Vico Equense e il Buco di Giuseppe Aversa a Sorrento.
Da marzo 2015 si mette in proprio rilevando il Florian Maison a San Paolo d’Argon (BG), oggi Ristorante Umberto De Martino. L’insegna Florian Maison rimane per indicare la struttura ricettiva, il Relais. Nella Guida Michelin 2018 ottiene la stella.
Chef De Martino è stato per ben due volte, visto l’entusiasmo suscitato nei giovani partecipanti, visiting chef del corso di Alta Formazione Cuoco in CAST. Si tratta di due giorni in cui gli allievi hanno la possibilità di cucinare accanto a chef stellati per apprendere i segreti del fine dining dalla viva voce dei professionisti.
Come visiting chef, in soli due giorni devi riuscire a spiegare la tua filosofia di cucina agli allievi dell’Alta Formazione Cuoco. Quale insegnamento ti interessa trasmettere maggiormente ai ragazzi?
Nel corso della “due giorni” come visiting mi piace spaziare, per dare ai ragazzi di CAST una visione, la più ampia possibile, del mestiere di cuoco. Quindi si, certo, si lavora assieme per preparare alcuni piatti iconici del mio menù stellato, come il carpaccio di gambero ripieno di burrata o l’agnello che valorizzo utilizzando diverse tecniche di cottura che consentono di usare tutto, ma proprio tutto, della carne, evitando gli scarti; ma siccome dietro ad ogni professionista c’è l’uomo, mi piace prima di tutto raccontarmi. Credo infatti che la mia storia professionale ed umana, quella di un bambino affetto da balbuzie, bullizzato dai compagni di scuola, che decide a 15 anni di dedicarsi alla cucina dove le parole non servono, ma conta l’abilità manuale e la creatività, possa essere un buon esempio di riscossa sociale. Mi interessa far capire ai giovani che attraverso l’attenzione e la capacità di porsi all’ascolto, oltre ad una buona dose di umiltà, qualsiasi mestiere, anche quello per cui si pensa di non essere portati, può essere fatto bene e diventare il proprio mestiere.
Ci sono alcuni allievi di CAST che vengono in stage presso il tuo ristorante. Da cosa capisci se un ragazzo/a ha la stoffa per diventare un bravo professionista?
Non ti so dire esattamente come ci riesco, ma nel momento stesso in cui gli stagisti mettono piede nella mia cucina, capisco quale sarà il loro futuro professionale. Come ti dicevo in precedenza, fare il cuoco è un’attitudine che non è solo manualità, ma anche il modo in cui ci si pone verso questo lavoro, come lo si pensa: spesso, per dei giovani professionisti, è piuttosto lontano dalla realtà. Per questo motivo consiglio di affrontare il corso di formazione in maniera responsabile e seria, per arrivare dritti all’obiettivo: iniziare a lavorare con un bagaglio sufficiente di competenze e nozioni.
Dai grandi lievitati alla pasta fresca, di recente hai diversificato il tuo portfolio professionale aprendo nuove attività. Forse la cucina non ti appassiona più?
Al contrario! Mi appassiona a tal punto che, da incosciente, visto che di tempo libero ne ho da vendere (scherzo!), ho pensato di realizzare alcuni progetti che avevo nel cassetto da anni e che, nel periodo del lock-down hanno preso forma. Il laboratorio di panificazione, per esempio: erano già sette anni che mi appoggiavo per panificare ad un laboratorio esterno. Quando però, nel 2020, con le restrizioni del Covid, la nostra produzione di panettoni è schizzata a oltre 2500 pezzi, ho capito che era arrivato il momento di farli in autonomia. Ho coinvolto nel progetto il pasticcere del ristorante, ci siamo iscritti assieme ad un corso di CAST sulla lievitazione con il maestro Gianfranco Fagnola e dopo un po’ di esperimenti il nuovo laboratorio è partito. Questo è già il terzo anno che funziona con successo. Un altro progetto nel cassetto diventato realtà è “Mastro Tortello”, un format ristorativo che si basa sulla pasta fresca ripiena con ingredienti selezionati di stagione, prodotti al momento e consumati sul posto o da asporto. Il laboratorio pilota è a Milano con la prospettiva di estenderlo in franchising ad altre città italiane. Un piccolo progetto che per me rappresenta il coronamento di un sogno culinario: racchiudere in una sfoglia di pasta le ricette italiane. Dare concretezza ai desideri: anche questo significa essere cuoco!