È un percorso “a ritroso” quello scelto da Silvia per la sua formazione, che non segue “le stelle”, ma una logica di apprendimento. La prima esperienza di lavoro è di quelle a cui tutti i futuri chef aspirano: dopo l’Alta Formazione Cuoco in CAST, uno stage nel tristellato “Mudec” dello chef Enrico Bartolini, dove si guadagna il ruolo di commis. Dopo otto mesi e un ricco bagaglio di sapori, abbinamenti e tecniche, Silvia decide di cambiare: il ristorante “Regolanti”, succursale milanese di noti ristoratori del lido romano, è il posto giusto per imparare a trattare il pesce. Poi l’esperienza di cucina etica nel ristorante dei fondatori di Emergency e/n Enoteca Naturale al fianco del giovane chef Gianmario Errico (esperienze Da Vittorio e Aska New York). Infine la cucina dei grandi numeri, ma di qualità, quella dell’Hotel Cormoran a Villasimius, dove trascorre sei mesi come sous chef. Dal mare della Sardegna alle sponde del Lario come executive chef del ristorante “Autentico”di Lecco. Qui Silvia ha modo di mettere a frutto tutto quello che ha imparato fino ad oggi, dall’organizzazione del lavoro della brigata, con turnazioni rigorose che permettono a tutti orari di lavoro normali, al ripristino del laboratorio esterno attrezzato per la lavorazione e la conservazione delle materie prime che verranno poi finite in cucina, alla selezione accurata dei prodotti rigorosamente bio e italiani, all’estro creativo che mette nei suoi piatti per cui attinge da culture e tecniche culinarie diverse e che le fanno dire: “Propongo ai miei ospiti solo quello che mi piace mangiare”. E a giudicare dalle recensioni, sono in tanti a condividere i gusti di Silvia 😉
Della tua esperienza nei ristoranti gourmet italiani, qual è stato l’aspetto più gratificante e quello che più ti ha deluso?
Per me la gratificazione è arrivata alla fine del mio percorso nelle cucine stellate, dopo aver chiuso quella porta alle spalle. Solo allora mi sono resa conto di quanto avessi imparato, dalle tecniche all’evoluzione del palato, alla lavorazione delle materie prime. Quello che mi ha più gratificata è stata la conoscenza, quel ricco bagaglio culturale e professionale che mi ero creata, e la soddisfazione di essere riuscita a portare a termine con successo il mio lavoro.
Poi c’è l’altro lato della medaglia delle cucine stellate, ed è la mancanza di umanità nei rapporti tra colleghi e superiori. In queste cucine spesso prevale il “nonnismo” che rende ancora più dura la vita lavorativa, anche se non è giusto generalizzare, perché spesso i giovani chef garantiscono ambienti più sereni.
Quale tipologia di cucina ti ha maggiormente affascinato e quale invece ritieni sia stata la più formativa?
Il fascino che ha un 3 stelle Michelin è difficile trovarlo negli altri ristoranti. Mettere in discussione le forme naturali degli ingredienti, le consistenze, i sapori, giocare con gli elementi e le tecniche che possono stravolgere gli ingredienti stessi senza snaturarli…beh penso sia una grande sfida per un cuoco! Se vogliamo dirlo in modo giocoso, impari, come un mago, ad usare la chimica e la fisica per ottenere risultati sorprendenti, proprio perché fuori all’ordinario.
A livello di formazione, ho cercato di imparare da ogni esperienza tutto quello che potevo, anche dagli aspetti negativi che mi hanno fatto capire quello che non avrei mai voluto replicare nella mia cucina. Siccome ogni cosa all’interno della cucina è importante e dato che il mio obiettivo era arrivare al più presto ad essere executive chef per l’urgenza che avevo di esprimere me stessa, ho cercato di costruire il mio percorso lavorativo e formativo in strutture che potessero insegnarmi tutto il necessario per avere le competenze per gestire la mia cucina. I ristoranti stellati mi hanno insegnato la disciplina, il rispetto, la velocità e l’organizzazione del lavoro, oltre che il gusto perfetto. Dalla stagione estiva invece ho imparato come gestire i grandi numeri durante il servizio e la gestione dei magazzini, degli ordini e di una grande brigata. Nelle altre piccole realtà ho cercato di affinare tecniche e competenze, continuando ad assorbirne di nuove. Ogni posto di lavoro è importante quando si è disposti ad imparare il più possibile.
Si parla molto di crisi dei ristoranti stellati: ti sei fatta un’idea del motivo per cui non sono più sostenibili?
Secondo il mio punto di vista non sono più economicamente sostenibili sia per il costo delle materie prime, dell’energia che ci vuole per lavorarle e trasformarle, ma anche per il costo del personale. La gente comune non può più permettersi i ristoranti gourmet e quindi preferisce andare dove trova soddisfazione e un prezzo ragionevole. Inoltre, credo che la ristorazione italiana sia satura, con tanti, troppi “finti ristoratori” che cercano di fare business senza comprendere come funziona veramente la ristorazione e quindi offrendo proposte medio-basse. Nel caso dei ristoranti stellati, la gara fine a sé stessa tra chi è più bravo fa passare in secondo piano l’attenzione sul cliente che dovrebbe essere educato a comprendere cosa sta mangiando e il lavoro di una brigata stellata per preparare ogni singolo piatto.
Basandoti sulla tua esperienza, c’è un consiglio che ritieni veramente utile per chi vuole intraprendere la carriera di chef?
L’unico consiglio che mi sento di dare è che se si ha questo dono, questa bellissima passione, bisogna essere disposti a “darsi” il più possibile. E poi avere sempre rispetto verso sé stessi e gli altri, voglia di imparare e mettersi in gioco, di scoprire, sperimentare senza porsi limiti o farsi intimorire da colleghi, mode o opinioni altrui. Il successo si guadagna con il tempo e la fatica.
Il tuo stile di cucina, come lo descriveresti?
Credo di non riuscire a dare un’etichetta alla mia cucina, sarebbe come mettermi in una casella e questo non mi piace. I miei piatti nascono dall’esigenza di raccontare un ricordo, esperienze vissute, sapori della cucina di casa mia o provati a casa di amici, o in giro per il mondo. Mi piace condividere quello che ho gustato e mi diverto unendo culture diverse all’interno dello stesso piatto per fare dei piccoli viaggi palatali e dare la possibilità di provare piatti internazionali, ma utilizzando ingredienti locali, del territorio. La mia priorità sono le materie prime di altissima qualità, selezionate personalmente e lavorate con il massimo rispetto, per ridurre al minimo gli sprechi e valorizzate al meglio. Il filo rosso che lega la maggior parte dei miei piatti è la brace, perché tante preparazioni vengono fatte con l’uso di carboni che rendono “ancestrale” il sapore delle carni, dei pesci e dei vegetali.
Come hai organizzato la brigata nella tua cucina per conciliare lavoro e vita privata?
La mia brigata è composta da 5 persone e la cucina è rigorosamente organizzata in cucina di servizio (situata all’interno del ristorante) e cucina di produzione (in un laboratorio esterno al locale). Questa suddivisione mi permette di mantenere più pulita e in ordine la cucina di servizio, dove viene fatta solo la cottura diretta o la rigenerazione di prodotti freschi o semilavorati che vengono precedentemente puliti o lavorati all’interno del laboratorio. Questo mi consente anche di gestire meglio lo stoccaggio e le grandi preparazioni che durano più a lungo nel tempo, così da ridurre le ore di lavoro, oltre che gli scarti. Nel laboratorio avviene anche la produzione della pasta fresca che è protagonista della mia cucina, oltre alla merce che arriva dai fornitori e che viene pulita, lavorata e stoccata sottovuoto nelle celle positive o negative. Quindi, al momento del bisogno, la merce viene portata al ristorante ed è pronta per essere utilizzata. In questo modo posso ridurre a 2 giorni la produzione che gestiscono 2 ragazzi, il venerdì e il sabato. Durante la settimana invece prestano servizio all’interno della cucina del ristorante, sostituendo a turno gli altri ragazzi, così da poter garantire a tutti 2 giorni di riposo a settimana.
Questa organizzazione nasce dall’esigenza di vivere la propria vita anche fuori dalla cucina. Ho scelto per cinque anni di rinunciare al divertimento, agli amici, alla famiglia, purtroppo, per dedicarmi esclusivamente al lavoro e alla mia crescita personale. Adesso, avendo la possibilità di gestire io la cucina, ci tengo a far vivere un equilibrio tra vita-lavoro corretto per tutti i miei ragazzi e per me.
Che ricordi hai del tuo periodo trascorso in CAST Alimenti e ciò che hai imparato ti è stato utile nel lavoro?
CAST mi ha dato la possibilità di imparare le basi di cucina e le tecniche avanzate, di gestire la cucina con le migliori macchine e attrezzature esistenti sul mercato, ma anche di sapermi adattare a qualsiasi situazione o ambiente lavorativo. È un percorso lungo, in cui studio e pratica vanno di pari passo, ed è per questo che richiede impegno e dedizione nello studio. I docenti seguono tutti gli allievi in modo attento, spronandoli e guidandoli verso la strada che ritengono più corretta per loro; proprio come hanno fatto con me che, del tutto ignara della mia sorte, mi sono ritrovata in un 3 stelle Michelin a fare lo stage!
Dove ti vedi fra qualche anno?
Tra qualche anno spero di essere riuscita a portare a termine qualche obiettivo che mi sono posta per il ristorante in cui mi trovo adesso “Autentico Restaurant”, non smettendo mai, però, di divertirmi e di fare ricerca in cucina.