Vita della scuola • 30.04.2018

Master class di Daniel Facen per l’alta formazione cuoco

Chef stellato del ristorante A’Anteprima di Chiuduno (BG)

La master class di Daniel Facen, chef stellato del ristorante A’Anteprima di Chiuduno (BG), diventa l’occasione per conoscere più da vicino questo “alchimista della cucina”, la sua storia professionale e il corso di Alta Formazione Cuoco in CAST Alimenti, esempio di come sviluppare le proprie conoscenze sia essenziale in un mercato sfidante come quello della ristorazione

Quando è nata e come si è sviluppata la sua passione per la cucina?

Io vengo da un paesino del Trentino molto piccolo, che si chiama Castello Tesino, inerpicato sulle montagne; quindi con poche opportunità di fare scelte lavorative. Mi ricordo però che vedevo questi cuochi con la toque e la cosa un po’ mi piaceva. Finita la terza media ero incerto: fare l’elettricista non mi piaceva, il muratore neanche, il meccanico nemmeno. Ho ripensato al mestiere di cuoco è così ho frequentato l’alberghiero a Levico.

Finita la scuola, agli inizi degli anni ’80, non era così facile entrare nelle cucine degli hotel cinque stelle, dove potevi veramente imparare. Alla fine, però, ce l’ho fatta, ho lavorato con chef importanti, con grandi brigate. Penati, Mei, Gallina … Uno di quelli che mi ha maggiormente ispirato è stato Zuccoli. Lui veramente era uno chef veramente duro, ma ti insegnanava a lavorare.  Già allora quello che mi dava un po’ fastidio era non capire cosa succedeva durante le cotture, per cui lavoravo e nel tempo libero studiavo chimica alimentare. Quando ho cominciato a fare lo chef, ho provato a mettere assieme la cucina classica e la parte scientifica che avevo imparato. Inizialmente non è stato molto facile, né per me, che venivo da una cucina d’impostazione tradizionale, ma neanche per i clienti, perché parliamo di quindici/diciotto anni fa, un tempo lontanissimo. Allora, la gente era ancora legata alla cucina classica, con solo degli spunti di cucina creativa. Ce n’era uno che la faceva in modo particolarmente buono, ed era Marchesi.

Mi ricordo che allora entravo in cucina la mattina e mi dicevo: “Avrò sbagliato qualcosa”. Invece, il cliente aveva solo bisogno di tempo per capire. Oggi, in “A’Anteprima” non abbiamo neanche più la carta.  La gente da noi viene per i percorsi, chi più lunghi, chi più corti, chi un po’ più classico, ma è questo che vuole, essere guidata. Posso finalmente dire che la strada che abbiamo intrapreso è quella giusta. Ci è voluto parecchio tempo per essere ripagati … anche con una stella Michelin. Ma ho sempre mantenuto la voglia di mettermi in gioco e di imparare.

Perciò sono venuto anche in CAST per seguire delle lezioni di Ferran Adrià, per vedere cosa facevano in riferimenti come il suo locale “El Bulli”, siccome la pensavamo allo stesso modo sulla cucina creativa, mi interessava capire fin dove era arrivato lui e dove ero io. Una curiosità: recentemente ho iniziato una collaborazione con un’azienda farmaceutica. Non riuscivano a trovare la soluzione per fare un medicinale e io gli ho detto: “Io la faccio tutti i giorni quella modalità di preparazione”. Ecco, il fatto che un cuoco abbia risolto il problema è uno dei regali più belli della mia carriera.

Saper usare la tecnologia in cucina, anche la più avanzata, è importante oggi per un giovane chef?

Oggi in CAST Alimenti ho portato quattro immagini, che ho sempre con me quando faccio i corsi: i tre porcellini che costruiscono la casetta, uno con la paglia, l’altro col legno e l’ultimo con le pietre. Bisogna vedere come vuoi costruire la tua carriera. O hai delle basi classiche o non vai da nessuna parte. E devono essere basi costruite sul cemento. Secondo me, il senso della cucina, ed è un’altra immagine che io mi porto sempre dietro, è quella di Ego di Ratatouille quando mangia la ratatouille, perché quando tu metti qualcosa in bocca e ti ricordi quand’eri piccolo, non dimentichi più il ristorante.

Secondo me, questa è una delle emozioni che dobbiamo trasmettere. Per farlo dobbiamo usare la tecnologia, lasciar perdere tutte quelle cose che non servono a niente, tipo scatolami, prodotti pronti, … ma usare materia prima che riesci a trovare, non necessariamente costosa, ma lavorata nella maniera giusta. La carota devi saperla lavorare. Se hai un roner, un ultrasuono o qualsiasi altra macchina, meglio ancora, ma devi essere anche capace di pelare le carote, di tagliare una “pomme châteaux”, una “pomme nature” o una “pomme mascotte”.

Quali caratteristiche, secondo lei, deve avere un ragazzo/a per diventare un bravo cuoco?

Umiltà, voglia di lavorare, concentrazione. Nella mia cucina c’è sempre silenzio, non serve neanche che mi imponga, lo sanno tutti che è così, perché la mia cucina è talmente particolare che i miei collaboratori devono fare quello che voglio io. Chi conduce la cucina siamo io e il mio sous-chef; tutti gli altri devono fare quello che gli viene detto e come gli viene detto.

Che consigli darebbe a un ragazzo/a che vuole intraprendere questa carriera?

La logica direbbe: lascia perdere!  Ma per fortuna c’è anche la passione…

Fare il cuoco è un lavoro di grande sacrificio.

Ma alla fine un po’ per tutti i lavori è così. Io se non vedo il cliente, se non lo servo, se non vedo l’emozione di un piatto, cosa ci sto a fare? Quando tu fai il cuoco, secondo me, vivi un’emozione continua. Tu passi qualcosa di tuo a qualcuno, devi far vivere un sogno e un viaggio. Se non ottieni questo, hai sbagliato qualcosa. Noi doniamo qualcosa di nostro agli altri.  E questo non ha prezzo, va oltre i sacrifici che ci sono in questo mestiere, secondo me.

Quale è l’obiettivo fondamentale della lezione che tiene oggi in CAST?

L’apertura mentale dei ragazzi. Perché, sai, quando fai il mio lavoro è più facile criticare che capire. È facile criticare, no? Io, invece, voglio che questi ragazzi sappiano che c’è anche dell’altro, che non c’è la cucina classica, casalinga, creativa, molecolare, …  ce ne sono solo due: una buona e una non buona. Vediamo se riusciamo a farla buona, usando dei sistemi diversi, che possono imparare, che si chiamano scienza e valore degli alimenti. E sempre partendo dal rispetto della materia prima, che è alla base dell’insegnamento in cucina.