Vita della scuola • 09.11.2016

Ispirazione e semplicità: la cucina di Riccardo Camanini

Le lezioni magistrali con i grandi chef

Riccardo Camanini ama il caso. La troppa razionalità, il troppo ragionamento, i troppi ingredienti tolgono l’anima al piatto. Lui gira nella sua cucina, vede qualcosa e comincia a sperimentare. Ma se l’ispirazione per sua natura non è intenzionale, il resto funziona solo grazie alla sua grande sensibilità, al suo naso e al suo palato.

Allora può dire in maniera credibile che non conosce il timer. Guarda la pentola, e capisce tutto come se fosse la cosa più semplice da fare. Nello stesso modo non usa cotture a bassa temperatura, roner e tutte le altre attrezzature che rendono ogni preparazione riproducibile anche per l’ultimo stagista.

Questo chef stellato mette da parte il proprio ego per far risaltare la semplice perfezione dei suoi piatti. Niente barocchismi, forme e colori che fanno a gara con un Boccioni o un Pollock, ma soltanto esperienza gustativa.

Così Riccardo Camanini racconta di seguire una dieta leggera per avere sempre quella pulizia del palato che gli permette di accostare ingredienti e misurare cotture. Ai ragazzi della sua brigata insegna che la bocca percepisce la consistenza e il gusto, ma è nel naso che persiste la sensazione. Il naso diventa uno strumento, da trattare con cura.

Il suo ristorante è il Lido 84, a Gardone Riviera. Lui e suo fratello da soli per un’impresa che funziona senza banche o ricchi mecenati alle spalle. Non ha nemmeno la necessità di far quadrare i conti con qualche passaggio televisivo. Il tempo preferisce trascorrerlo in cucina. In quel poco che gli rimane viaggia, magariå per andare a vedere come lavorano i suoi colleghi, oppure legge un libro o guarda un classico del cinema, di preferenza francese, magari un Truffaut o un Kassovitz. Forse qui sta la risposta alla domanda sul come riesca a fare una cucina più vicina alla cultura che allo spettacolo.

Nella sua giornata all’Alta formazione per cuochi Camanini ha presentato alcuni piatti che hanno fatto e consolidato la sua fama e altri comunque rappresentativi della sua cucina. Primo della lista, non per cronologia ma per importanza, lo spaghettone al burro e lievito disidratato. Perché la semplicità, oltre che detta, deve anche essere messa in pratica. Un piatto che ha fatto la delizia nientemeno che di Alain Ducasse, che ne ha parlato con Francoise Hollande, che ne ha parlato con qualcuno fino a quando, a qualche punto della catena, la notizia ha cominciato a correre ed è arrivata a tutti: per Ducasse è una delle cose migliori che abbia mai assaggiato. Verdetto confermato dalla giuria che a Identità Golose l’ha scelto come piatto creativo dell’anno. Gli ingredienti: uno spaghetto abruzzese, un burro piemontese e il lievito, trattato in forno a settantacinque gradi, per togliere l’acqua senza caramellizzare gli zuccheri. Il risultato? La consistenza di una meringa.

In un processo come questo sta la difficoltà dell’essere semplici. Basta poco, qualche minuto in più o in meno, una quantità di lievito sbagliata in rapporto alla capacità del forno di poter disperdere l’umidità, una temperatura incostante. Nella semplicità il rischio si fa più grande perché l’alternativa a un piatto magistrale è soltanto il disastro. Niente si può più aggiustare.

Un’altra sfida è stata la pasta cacio e pepe. Riccardo Camanini ha inserito il piatto tipicamente romano nella vescica di maiale per rendere il gusto ancora più intenso e aggiungere sfumature interessanti. Anche qui c’è un margine di errore, inesistente per lo chef, da prendere in considerazione per chi cerca di imitarlo. Perché la vescica deve arrivare intera e gonfia di fronte al cliente. La pasta all’interno poi deve essere cotta perfettamente al dente e il condimento né troppo liquido né troppo asciutto. Un gioco che non è fatto per i dilettanti.

Andrebbero raccontati tutti gli altri piatti, dalla crema di aglio nero, alla trippa di baccalà, curcuma e cavolfiore, alla banana con sciroppo di miele, frutta secca e frutto della passione. Ma dire si può solo fino a un certo punto e, per chi non era presente alla lezione di Riccardo Camanini alla CAST, conviene prenotare, con un certo anticipo, un bel menu degustazione di sette portate al Lido 84.

Una storia da riportare il più fedelmente possibile è però quella del riso all’aglio nero fermentato e frutti rossi. C’era una volta un tizio, cliente abituale del Lido 84. Un uomo gentile, vestito di nero, di non molte parole che, dopo che le cene si ripetevano sempre più spesso e le serate portavano una volta dopo l’altra alla confidenza, si è presentato. Per lo stupore di tutti era Stefano Bombardieri, artista e scultore molto conosciuto.

Diventato amico dello chef gli ha chiesto di dedicargli un piatto. Per un creativo lavorare su commissione è sempre difficile, ma questa volta Riccardo Camanini c’è riuscito al primo tentativo. Il suo riso doveva essere nero e profondo. Nero come l’abbigliamento abituale di Stefano Bombardieri e profondo, com’è ogni vero artista.

La profondità in questo piatto sta nel non essere quel che sembra. È un trompe l’oeil di sapore. All’assaggio l’impressione dei funghi secchi viene confermata dal richiamo al bosco dei frutti rossi. Ma funghi non ce ne sono, nonostante l’illusione sia piacevole e ben costruita.

Riccardo Camanini può permettersi di amare il caso solo perché è in grado di dominarlo con sicurezza e senza distrazioni. Maestria in cucina e capacità di gestire costi e guadagni, con un occhio attento sul food cost che quest’anno non ha superato il ventisei per cento, un record per un ristorante stellato. Poco quindi viene lasciato nelle mani della signora bendata, se non la fase iniziale della creazione pura.

Quindici o sedici ore di lavoro al giorno per una passione che non lascia spazio a quello che molti considerano umano: una famiglia, un po’ di divertimento senza pensieri o anche del sano far niente. Ma Riccardo Camanini dice che arriverà il giorno per tutte queste cose. La sua uscita è già in programma: dieci anni e poi farà la vita che finora ha messo da parte. Ma intanto lui, che non fatica a respingere il palcoscenico dove ora vivono molti dei suoi colleghi, ancora non resiste al richiamo della cucina.