Vita della scuola • 01.08.2014
Passione, determinazione ed umiltà: sono queste le qualità richieste a chi sogna di lavorare in cucina. Parola di Stefano Baiocco, executive chef a Gargnano (BS), che ha ricevuto a fine 2013 la sua seconda stella Michelin. La notizia lo ha raggiunto in Spagna, dove si trovava per un periodo di formazione all’estero: uno stage. Perché – e di questo Stefano Baiocco è profondamente convinto – non bisogna mai fermarsi, nemmeno dopo aver conquistato l’ambito riconoscimento Michelin.
Lo chef di Villa Feltrinelli sarà protagonista di una giornata di formazione speciale in CAST Alimenti lunedì 22 settembre, durante la quale presenterà alcuni suoi piatti (riproducibili), racconterà gli elementi chiave della sua cucina (a partire dalle erbe e dai fiori coltivati all’interno della struttura) e dialogherà con colleghi e studenti presenti in aula. In attesa di incontrarlo, mentre si avvicina l’inizio della seconda edizione del Corso di alta formazione per cuoco, lo abbiamo intervistato.
Quando e perché ha deciso di diventare chef?
Dopo un anno di ragioneria, nonostante la promozione, ho pensato che dovevo prendere un’altra strada: sia dal punto di vista pratico (per avere maggiori possibilità di lavoro), sia dal punto di vista romantico, perché ho sempre ammirato molto mio nonno, che era chef. Così ho iniziato a fare pratica nei ristoranti per diventare cuoco. A un certo punto, dopo tre anni in Francia e altri tre anni come secondo in cucina, ho sentito il bisogno di diventare responsabile di una brigata: uno chef a tutti gli effetti. A trent’anni sono così entrato a Villa Feltrinelli, dove lavoro ormai da undici anni come executive chef.
Quali doti deve avere un giovane che desidera intraprendere questa strada?
Chi sceglie questo mestiere deve amare quello che fa, deve crederci al cento per cento, senza mai sentirsi arrivato. Passione, determinazione e umiltà. È questa la chiave del successo. Inoltre bisogna prepararsi a un periodo di gavetta, che può essere lungo e anche difficile: questo la televisione, che oggi spinge molti a scegliere la professione, non lo racconta. Ma è importante saperlo. Il primo mese che ho trascorso in Francia, da Ducasse, avrò perso dieci chili. È stata un’esperienza dura, ma formativa.
E quali consigli darebbe a un professionista già attivo?
Uscire dalla propria cucina, incontrare i colleghi, frequentare corsi: l’importante è non fossilizzarsi. Per chi, come noi, si ritrova a passare in cucina così tante ore è facile perdere di vista che cosa succede nel “mondo fuori”. Ma aggiornarsi è fondamentale.
Quanto contano le esperienze all’estero?
Sono fondamentali. Quando ho intrapreso la professione, la meta principale (se non l’unica) era la Francia. Così ho fatto le valigie e sono rimasto per tre anni a Parigi. Oggi la scelta è più ampia: si può andare in Spagna, in Nord Europa, Brasile, Giappone… Quel che è certo è che si torna più ricchi: sia a livello professionale che personale.
Quale aspetto della sua professione oggi le dà maggiori soddisfazioni?
Riuscire a comunicare attraverso il cibo; accorgersi che la gente percepisce la storia e il lavoro che c’è dietro a ogni singolo piatto. Per questo cerco sempre di andare in sala a fine servizio e di scambiare due parole con i clienti.
Adesso che è arrivata la seconda stella Michelin, quali progetti per il futuro?
Restare con i piedi per terra, e trovare un modo per ridurre gli impegni, selezionando quelli più importanti. Sono convinto che siano meglio cinque cose fatte bene piuttosto che dieci fatte con scarsa convinzione.