Da CAST Alimenti al ristorante di famiglia, passando da un ristorante stellato
Conosciamo meglio Giorgia Babbo, 22 anni milanese, diplomata al Liceo scientifico. Nel 2016 ha seguito in CAST un corso di Alta Formazione per Cuoco, seguito da un tirocinio e poi da un’assunzione come capo partita antipasti presso il ristorante due stelle Michelin di Claudio Sadler. Attualmente lavora nel ristorante di famiglia “Il Capestrano” a Milano.
La tua famiglia è proprietaria di un ristorante a Milano. Dov’è nata la tua passione per la cucina?
Ho iniziato ad interessarmi di cucina quando andavo a casa di mia nonna in Abruzzo. Andavo a trovarla durante le vacanze e mi piaceva un sacco aiutarla a fare la pasta fresca, gli gnocchi, i ravioli, i dolci abruzzesi. Amavo fare queste cose con lei e soprattutto mangiarle! E poi mi facevo dare le ricette e le replicavo qui a Milano: per esempio, da piccola facevo il ciambellone per la mattina per tutta la famiglia. Poi i miei genitori hanno aperto il ristorante quando ero già grande, relativamente grande, frequentavo la terza media, e dalla prima superiore ho iniziato ad aiutare sia in sala che in cucina. Posso proprio dire che la mia passione per la cucina è nata dall’amore per il cibo.
Perché hai scelto di fare la tua formazione di cucina in CAST?
Dopo il liceo ho cominciato a lavorare tutti i giorni in cucina e da subito ho pensato di fare un corso. Poi i miei mi hanno trattenuta dicendo: “Inizia a lavorare e vedi come è realmente stare tutti i giorni in cucina e poi, quando ti sarai un pochino formata e se sarai ancora convinta, vedremo anche di farti fare qualche corso”. Quindi, dopo un anno e mezzo che lavoravo dai miei, mi sono messa a cercare i corsi: ho visto l’offerta a Milano e ho valutato anche ALMA. Ho scelto CAST perché era quella più consigliata e anche un’amica di mio padre che fa la consulente di forni professionali, gliene ha parlato molto bene. Un giorno sono andata a visitare la scuola, ho avuto così la possibilità di parlare con un po’ di persone e raccogliere diversi pareri, tutti positivi. Così ho deciso di iniziare la mia formazione in CAST.
C’è un ricordo bello che ricolleghi a CAST?
Sì, assolutamente! Qui da me al lavoro c’era un ragazzo che, appunto, ci ha lasciato perché ha deciso di iscriversi al corso di Alta Formazione per Cuoco in CAST. Un po’ perché già conoscevo la scuola, un po’ perché io gli dicevo “vai, vai, vai”, ogni volta che mi racconta, oppure vedo i suoi post su Facebook è una malinconia perché, a parte il fatto che mi sono trovata molto bene per quanto riguarda la formazione con gli chef, ma poi proprio ti lega un ricordo, perché per quattro mesi hai convissuto con una classe di sedici persone.
È stata un’esperienza intensa, ma anche umanamente molto formativa, importante da ogni punto di vista.
Tanto che oggi sono ancora in contatto con i miei compagni. Con le tre ragazze del corso ci sentiamo abbastanza spesso e con i ragazzi ci scriviamo su Facebook: mi dicono cosa fanno, dove vanno, si spostano di lavoro in lavoro, insomma ci sentiamo.
Come sei arrivata da Sadler?
In CAST mi avevano chiesto dove volessi fare il tirocinio. Avevo risposto che mi sarebbe piaciuto rimanere a Milano, perché sapevo che c’erano molti ristoranti interessanti in cui potevano mandarmi e visto che abito qua, ho solo espresso il desiderio di stare a Milano, se possibile, altrimenti, va beh, mi sarei spostata. Non avevo chiesto, come alcuni miei compagni, stellato o non stellato, io non avevo chiesto niente perché, comunque, mi fidavo del giudizio dello chef Michieletto. Ho pensato: lui saprà, dato che mi ha visto lavorare, mandarmi nel posto giusto per me. Infatti, quando poi mi ha detto che sarei andata da Sadler e che, conoscendomi, mi sarei trovata benissimo, sia per il tipo di lavoro che per l’ambiente, aveva ragione. E’ stato bravo!
Quindi, ti ha aiutato la tua formazione in CAST per affrontare il lavoro nella brigata di cucina di un ristorante stellato?
Assolutamente sì! Cioè, io avevo già esperienza in cucina però, appunto, senza sapere tutte le regole, nel senso le cotture, le cose più specifiche. Sapevo “lavorare” tra virgolette, nel senso che sapevo cosa voleva dire stare in una cucina, però certamente la formazione in CAST mi ha fatto conoscere un sacco di cose che prima non sapevo. Oltre alle tecniche di cucina, ho imparato anche a lavorare in brigata, facendo delle prove di lavoro in gruppo. Però, come ti ho già detto, io comunque avevo già lavorato, quindi sapevo un pochino com’era lavorare insieme in brigata. E quindi non erano proprio una cosa nuovissima per me, anche se è ovvio che in un ristorante 2 stelle era una cosa nuova, diversa, completamente diversa.
La figura di chef è prevalentemente maschile. Quale difficoltà incontra in questo mestiere una donna e in cosa si differenzia, se si differenzia, la cucina femminile da quella maschile?
Allora, ci sono delle difficoltà si e no, nel senso che dipende dal tipo di persona che sei. Se tu, a mio parere, vai a lavorare in un ristorante dicendo “io sono una femmina, quindi questa cosa la posso fare, mentre quest’altra no”, allora, secondo me, è sbagliato l’approccio e quindi gli altri ti prenderanno come la femminuccia lamentosa.
Invece, io non ho avuto problemi perché non mi sono mai tirata indietro. La cucina è un lavoro fisico e quindi pesante, forse un uomo lo sostiene meglio. Però, appunto, dipende da che tipo di persona sei e con che ottica ti poni rispetto al tuo lavoro:
se tu ti poni come si pongono gli altri e fai quello che fanno anche gli altri, nessuno in una cucina fa differenze di genere.
E per quanto riguarda la cucina femminile rispetto a quella maschile, penso che noi donne, forse, messe tutte insieme siamo un po’ più creative rispetto ad un uomo, forse anche un po’ più precise. Insomma, il tocco in più di una donna chef si vede.
Sei giovanissima. A cosa hai dovuto rinunciare per la tua carriera?
A tante cose, che non mi pesano perché ho fatto io questa scelta. Però le rinunce, è inutile dire che non è vero, ma ci sono. Già quando ho finito il liceo e ho iniziato a lavorare, i miei amici che erano all’università uscivano la sera per aperitivi, ballare e mi dicevano “Sabato sera cosa facciamo?” e io ero sempre costretta a dire non posso, non ci sono. Certo, c’erano delle volte, soprattutto all’inizio, che mi pesava. Succede che anche certi rapporti di amicizia si raffreddino perché, giustamente, non vedendosi mai, magari i rapporti non proprio strettissimi si vanno poi a slegare. Però, non sono proprio fatta così, anche se volessi una sera uscire non è da me chiedere il giorno di riposo. E poi starei sempre con la testa in cucina, mi chiederei chissà se va bene o se va male, se sono incasinati, se c’è bisogno di me. Non sarei neanche un pò tranquilla.
Cosa consiglieresti ad un ragazzo che vuole intraprendere un percorso di formazione in CAST?
Gli consiglierei, prima di questo percorso in CAST, di fare un po’ di esperienza fuori, nel senso di iniziare a vedere come è realmente lavorare in una cucina. Quindi anche lo sforzo fisico, stare in piedi tutte quelle ore, per vedere se è un tipo di lavoro che comunque può sostenere, perché ci sono tanti a cui piace il mondo della cucina, fare gli chef eccetera, però poi fisicamente mollano, perché non ce la fanno più a sostenere il tipo di lavoro, le poche ore di riposo,
Il secondo consiglio è, sicuramente, di prendere appunti in aula, durante le lezioni di teoria. Non ci sono tanti momenti in cui si spiega senza lavorare, si lavora molto. Ecco, consiglierei, nei momenti che si può, di prendere più appunti possibile, perché gli chef dicono delle cose anche in più che non sono scritte nei libri o nelle dispense. In più, consiglio di studiare, ogni giorno fare un piccolo ricapitolo della giornata, perché comunque le cose sono tante e si vanno ad aggiungere ed è sempre meglio fare un ripasso. Dico la verità, prima lavoravo e facevo delle cose che erano giuste, però non sapevo perché le stessi facendo. Quindi lo studio mi ha aperto la mente, mi ha fatto capire che se si fa quella cosa è per un determinato motivo.
È importante capire tutti i passaggi logici della preparazione di un piatto.
Secondo me non bisogna lavorare come delle macchine, bisogna metterci sempre la testa e la logica. Quando capisci certi processi poi ti si apre un mondo, perché ogni cosa che fai cerchi di ragionarla per farla meglio.
Quale piatto ti piace realizzare?
Questa è difficile! A me piace tanto fare i risotti. Quando ho la domenica libera e posso cucinare per il mio ragazzo o per la mia famiglia, mi butto sempre sul risotto perché mi piace, è una cosa che proprio mi rilassa fare, poi alla fine sono sempre soddisfatta. A parte che mi piace mangiarlo, mi diverte anche tanto farlo.
Dove ti vedi in futuro?
Mah, in futuro mi vedo, spero, con un mio piccolo ristorantino. Non so dove, come, quando, ancora niente di definito, ma spero appunto di avere qualcosa di mio. Più che altro spero di essere professionale in quello che faccio, non mi interessa parlare di stelle, ma spero solo di essere competente e brava nel mio lavoro.