Se è vero che dagli errori si impara, Chiara Abate e Francesca Marcantognini ne sono la riprova. Nonostante l’immediato successo, a due mesi dall’apertura della loro bakery in Porta Venezia a Milano, Chiara e Francesca capiscono che il modello di business non corrisponde ai loro obiettivi e decidono di chiudere. A ottobre, nella stessa sede, ma con un format rifocalizzato, apre “TEMA – Pizzeria elementare”. L’essenza del prodotto rimane la stessa, ma alla produzione di pane si sostituisce quella di pizza accompagnata a cocktail e dessert al piatto. Una scelta che esalta il talento e le competenze di ciascuna. Spinta dalla passione per il cibo, Chiara ha, infatti, maturato una vasta esperienza nelle cucine stellate di luxury hotel e di chef importanti (Antonia Klugmann al “Venissa” e Alessandro Breda del “Gellius”), prima come cuoca e poi come pasticcera. Ma è al corso di Alta Formazione Panettiere in CAST che conosce Francesca, studi di economia e un talento per la panificazione perfezionato da Gabriele Bonci, Valentino Tafuri e poi con Chiara in Francia ad Avignone. “TEMA” è la sintesi del desiderio di Chiara e Francesca di dare vita a un progetto comune, in cui creare, come in una geometria perfetta di sapori, nuove variazioni di gusto.
Avete scelto Milano, una delle principali piazze della ristorazione, per aprire la vostra attività. Quali le ragioni di questa scelta e che difficoltà avete dovuto affrontare?
Francesca – Quando abbiamo deciso di avviare un’attività in proprio, la nostra scelta è ricaduta su Milano dopo aver preso in considerazione varie città, in Italia e all’estero, partendo dalle nostre città d’origine. La provincia di Latina, la mia, l’abbiamo esclusa quasi subito perché non ci avrebbe consentito di adottare una giusta price policy rispetto alla nostra proposta di elevata qualità e, soprattutto, non avevamo lo storico di attività ristorative “non tradizionali” come avevamo in mente noi. Lo stesso discorso per Treviso, la città di Chiara. Abbiamo poi valutato anche l’estero, Parigi per esempio, ma sarebbe diventato troppo dispendioso avviare lì una start-up. Abbiamo alla fine scelto Milano perché è forse la città italiana più aperta e curiosa verso le novità, fortemente in movimento e quindi in grado, crediamo, di offrire uno sviluppo maggiore al nostro business. Le difficoltà iniziali sono state tante; è stato un problema anche solo capire come proporsi perché Milano è una città particolarmente esigente. I clienti sono molto attenti all’estetica del locale, ai prezzi e ai servizi offerti, … poi, se il locale lavora bene, il successo arriva (in questo senso la pasticceria Marlà per noi è un riferimento). Quando si apre un’attività a Milano le variabili da calcolare in un business plan sono tantissime: delle fasce orarie in cui si lavora di più e di meno, le opportunità di sviluppo commerciale del quartiere che scegli, fino al clima che spesso e volentieri influenza il business! Cose impensabili in una città di provincia. Dei costi e degli affitti meglio non parlarne …
Sulla base della vostra esperienza, che consigli dareste a un collega che volesse aprire un’attività in proprio?
Francesca – Sulla base degli errori fatti, il consiglio che diamo è quello di pianificare al centesimo le spese per evitare di perdere il controllo dei costi e di investire sulla formazione, anche di gestione, con un buon corso di Excel e di business management. Oggi, infatti, non c’è più spazio per il datore di lavoro in laboratorio; nella ristorazione moderna il duplice ruolo di artigiano/imprenditore non funziona più, così come non ci si può più basare, per valutare le performance della propria attività, su dati di vendita confusi. Insomma, a noi pianificare ogni singolo prodotto all’interno del nostro nuovo locale “TEMA 2.0” è costato quasi 6 mesi di lavoro, passati a valutare la tipologia di ogni singolo prodotto, di come proporlo per farlo capire al cliente … Suggeriamo anche di fare un bel corso di marketing. Per la nostra nuova attività posso dire di aver completato gli anni di economia e management che mi mancavano all’università, iscrivendomi ad un master in food&beverage e di food marketing analizzando i casi di successo nella ristorazione milanese. Studiando, per esempio, abbiamo capito che il food cost non determina quasi mai il prezzo di un prodotto che deve invece essere parametrato alla politica di marketing del locale e che risparmiare sul lay-out del locale rischia di bruciare gli incassi. Se poi, nonostante tutte queste accortezze, si dovesse sbagliare, l’importante è accorgersene in tempo e dagli errori capire come riorganizzare l’attività.
Il vostro locale si chiama “TEMA – Pizzeria elementare”. Quale è il format del locale?
Chiara – Quando stavamo ripensando il nostro format, analizzando i bilanci delle attività di ristorazione presenti su Milano, ci siamo accorte che le pizzerie erano quelle con le performance migliori. Abbiamo quindi fatto un’analisi dei concorrenti e dei loro prodotti e abbiamo così capito che dovevamo entrare nella testa del cliente con un format unico, che ci distinguesse dagli altri locali e che ci caratterizzasse come brand. In questo ci ha aiutato uno studio di architettura che ha progettato il lay-out del locale, il logo e il pay off “Pizzeria elementare”. Giocando attorno alla parola TEMA e all’aggettivo “elementare” si richiama la scuola, ma anche l’essenza, la semplicità e pulizia degli ingredienti. TEMA, inoltre, si presta a diverse interpretazioni, oltre l’elaborato scolastico: è l’argomento da cui prendere spunto per tutte le possibili declinazioni di gusto dei nostri prodotti, è l’ispirazione che si presta a sviluppi e variazioni …
Ci piace molto lavorare per temi, perché stimola l’aspetto ludico del nostro lavoro che, senza voler diventare una pizzeria fine dining, crea proposte interessanti nella scelta degli ingredienti e nell’accostamento di sapori. Il format che abbiamo messo a punto si rivolge al target giovane che frequenta Porta Venezia nella fascia serale. Infatti siamo aperti dalle 18.00 fino all’una di notte, 6 giorni su 7 con 6 dipendenti oltre noi per 70 coperti. Ecco spiegata la scelta di mettere in carta pizze abbinate ai cocktail e ai dessert al piatto. Punteremo anche molto sul marketing (raccolta dei contatti, piccole coccole per i clienti più affezionati, possibilità di affittare un piccolo privè con menù dedicato, …) e sulla riproducibilità della produzione, quindi menù abbastanza semplici e con stoccaggio lungo e da sottovuoto in un ciclo di lavoro ottimizzato per garantire 8 ore (e non di più!) di lavoro ai dipendenti.
Pandemia, costo delle materie prime, aumenti delle tariffe energetiche, carenza di personale, … sono tutte sfide che stanno mettendo a dura prova il mondo della ristorazione. Quali strategie avete previsto per gestire queste variabili nella fase di start-up della vostra attività?
Francesca – Fin da subito il calcolo delle spese e un business plan molto realistico ci hanno aiutato a stare con i piedi per terra. Anche avere un contratto di fornitura energetica a prezzo bloccato, uno slot di apertura del locale molto ridotto e dei macchinari che lavorano a risparmio energetico, ci sta dando una grossa mano, almeno per adesso. Eliminare le cotture prolungate e fare una produzione continuativa è stata una scelta che credo si rivelerà strategica per la riduzione dei consumi energetici.
Qual è la vostra interpretazione della pizza tradizionale? E di pasticceria moderna? Ci sono dei principi (sostenibilità, filiera corta, riduzione degli scarti, ecc.) che ispirano il vostro menù?
Chiara – La nostra filosofia rimane la stessa di TEMA 1.0: filiera corta certificata, utilizzo di prodotti di realtà agricole del Lazio e del Veneto (le nostre regioni d’origine che quindi conosciamo meglio) con preferenza verso i piccoli produttori per garantire il lavoro artigiano. Abbiamo scelto, come spiegavo prima, un menu’ corto: poche cose di facile produzione, con 4-5 piatti che rappresentano al meglio la nostra intenzione di fare “la cucina sulla pizza”. Fondamentale è anche la riduzione degli scarti: dalle bucce di patata e dello scalogno all’acqua faba, tutto trova una sua identità all’interno del menù, anzi nel momento stesso in cui penso il menù, scelgo i prodotti e i loro diversi impieghi. La nostra pizza viene interpretata aggiungendo una farina non comune alle produzioni in pizzeria, la farina di segale integrale che prendiamo dal Molino Paolo Mariani. Aggiungiamo un metodo di lavorazione classico a 24 ore di lievitazione a una cotta in forno elettrico a 380-390°.
La nostra pasticceria pone sempre al centro l’ingrediente includendo anche prodotti che non appartengono all’arte dolciaria, come i vegetali, mentre per la pizzeria mi piace utilizzare tecniche di cucina come le affumicature, le marinature, la bassa temperatura … o le basi: fondi bruni, jus vegetali, bisque … è questo il mio modo molto personale, di conciliare le mie diverse esperienze. Tra le nostre proposte, per esempio, c’è un dolce al sedano ma anche uno al mais, e non manca il tiramisù al sifone. Quasi tutti i dolci faranno riferimento a un ricordo di infanzia come lo zucchero filato, la granita, il pop corn e un dolce sarà addirittura “interattivo”, quindi coinvolgerà il cliente in un piccolo gioco.
Che ricordi avete del vostro periodo trascorso in CAST Alimenti?
Francesca e Chiara – Tanto utile coinvolgimento ed anche parecchio divertimento. E poi tante notti insonni passate a ripassare mentalmente la lezione del giorno.
Francesca – Era bellissimo svegliarmi in anticipo e trovarmi in sala colazione con gli studenti lavoratori alle 7.10 della mattina, o anche solo guardare le aule. Per me quel corso rappresentava una seconda chance dopo un brutto periodo trascorso in un’altra scuola di cucina.
Io (Chiara ndr.) ero un po’ più distaccata non essendo la panificazione la mia prima passione, ma conserviamo entrambe un bellissimo ricordo della scuola.
Quali sono i vostri obiettivi professionali per il futuro?
Francesca e Chiara – Sicuramente riuscire a “fare più di un TEMA”! E perché no, presidiare con i nostri locali tutte le guide … 🙂