Lungo tutta l’intervista a Beatrice mi ha accompagnata un sapore: quello del suo dessert al piatto “Latte miele” che ho avuto la fortuna di assaggiare, in cui il miele era espresso in una sinfonia di gusti e consistenze. Allora Beatrice era pastry chef a fianco dell’executive chef Alberto Quadrio (anche lui ex allievo di CAST) del Ristorante Cantine Nervi di Gattinara. Poi il ritorno a Barcellona dove vive da oltre 6 anni, città che è stata il trampolino di lancio delle sue esperienze di lavoro più significative e formative e a breve della sua nuova attività in proprio. Ripercorrendo con ordine il suo percorso, dopo la laurea in tecnologie alimentari a Torino, il corso di Alta Formazione Pasticcere in CAST nel 2016 e lo stage da Mannori, dove impara tutto sugli impasti, ma capisce anche che il suo futuro non è il lavoro in laboratorio. Quindi la prima assunzione come chef de partie a Londra nel ristorante stellato “Tudor Room” dell’Hotel Great Fosters, poi all’Hotel Cafè Royal e infine pastry chef al Céleri a Barcellona dello chef Xavier Pellicer allievo del grande chef catalano Santi Santamaria. Alla sua collezione di esperienze in ristoranti stellati si aggiungono Tickets di Albert Adrià e Hisop 1 stella Michelin, dove in capo a due anni Beatrice diventa capo cuoco, lei affermata pastry chef, a riprova della sua versatilità. Ora è pronta per mettersi alla prova in prima persona: ad aprile aprirà insieme al suo compagno chef Ivan, “Glug” un locale il cui format è la somma di tutte le loro esperienze di lavoro e di vita, come ci ricorda il gatto rosso dell’insegna. Ma questa è un’altra storia …
Spesso la passione per la pasticceria arriva da lontano, da una mamma o una nonna. E’ questo il tuo caso?
Esattamente nel mio caso, il punto di partenza è mia nonna, che è sempre stata come un magnete per me. Guardarla cucinare era ipnotico ed affascinante, e la mia passione è nata dalla sua stessa passione per la cucina. Era un’eccellente cuoca e fin da piccola mi ha trasmesso l’amore per gli ingredienti, la pazienza e il tempo da dedicare ai piatti. Al mio sesto compleanno, ho chiesto il mio primo libro di pasticceria illustrato, e da lì è stato un continuo scoprire, imparare e curiosare in questo magico mondo.
Hai lavorato nelle cucine dei più rivoluzionari ristoranti spagnoli, che per te è significato grande impegno tecnico e creativo per coordinarti alle scelte gastronomiche dello chef. Ma qual è il tuo stile in pasticceria, cosa distingue i tuoi dessert al piatto?
Credo che il mio stile di pasticceria sia esattamente il risultato delle mie diverse esperienze. Quello che cerco di ottenere nei miei dolci è l’equilibrio dei sapori e la continuità con la parte salata come se fosse un unico filo conduttore. Per questo, cerco sempre di mantenere un livello di zuccheri abbastanza basso, affinché il dolce sia proprio un proseguimento e non appesantisca la fine della cena, ma anzi migliori l’esperienza generale.
Tutto inizia da un’idea di combinazioni di sapori che creo nella mia testa e che penso si possano sposare bene fra di loro. Molto spesso mi piace abbinare ingredienti salati o verdure nelle mie composizioni dolci. Il dolce è la parte finale del nostro pasto, normalmente, ed è anche quella che uno può ricordare piacevolmente o compromettere la sua esperienza finale.
Hai iniziato ad introdurre le verdure in pasticceria lavorando da Xavier Pellicer al Céleri, premiato come miglior ristorante vegetariano del mondo nel 2018, anche per l’attenzione ai principi della circolarità e dello scarto zero. Quali difficoltà tecniche comporta questo tipo di pasticceria, anche in termini di gusto e di consistenze e quanto spazio lascia alla creatività?
L’esperienza con Xavier Pellicer è stata probabilmente una delle forme più puriste di pasticceria con cui mi sia mai confrontata, caratterizzata dall’uso minimo di additivi e spesso basata esclusivamente su proteine vegetali. Poiché il ristorante è prevalentemente incentrato sulle verdure, anche i dolci, per la maggior parte, devono avere come ingrediente principale le verdure stesse. Questa è stata per me una grande sfida: riuscire a concentrare il sapore e l’aroma di una verdura per creare un dolce equilibrato, con una buona struttura e soprattutto gustoso. Da qui è nato il semifreddo di sedano rapa, realizzato utilizzando tutte le parti di questo ortaggio, dalla radice fino alla foglia, che ancora oggi è un signature dish del ristorante. La scoperta delle verdure nei dolci è stata la base del cammino per la creazione del mio stile.
Hai scelto un mestiere, quello della pasticcera, che vede una predominanza maschile. In più occasioni nel tuo lavoro ti sei trovata ad occupare ruoli di responsabilità e di leadership. Hai avuto difficoltà ad essere presa sul serio in quanto pastry chef donna?
Credo che la sfida di una donna in una cucina sia duplice: doppio sforzo, doppio impegno e doppia difficoltà nel farsi rispettare. Mi sono trovata in situazioni diverse in cui mi sono sentita in “difficoltà”: dalle battute sessiste alle toccatine sottobanco per affermare la superiorità nei miei confronti. Penso che una donna, solo per il fatto di essere donna, debba dimostrare il doppio per arrivare a ricoprire ruoli di un certo livello nel nostro settore e guadagnarsi il rispetto del resto della brigata, considerando che la maggior parte dei colleghi sono uomini. Sono contenta di essere riuscita ad arrivare a ruoli di responsabilità con la testa alta, con molta umiltà e di aver avuto la possibilità e la fortuna di dirigere una cucina come quella di Hisop, che mi ha dato molte soddisfazioni, ma non nego che la strada è stata molto dura e faticosa.
Che cosa è significato CAST per te e quanto ti ha aiutato nell’affrontare la tua carriera professionale?
CAST è stata una delle migliori esperienze della mia vita, e ancora il ricordo mi scalda il cuore. Mi ha regalato numerosissime amicizie profonde e meravigliose, che conservo preziosamente ancora oggi. È stato il momento in cui ho potuto spiccare il volo, lasciando la mia città natale per essere finalmente me stessa e scoprire la mia personalità e la mia forza interiore. Oltre a tutto questo, che ha costituito le fondamenta della persona che sono diventata, mi ha anche fornito le basi della pasticceria su cui fondare il mio percorso, solide e robuste. Senza queste conoscenze, il mio stile e le mie creazioni attuali sarebbero stati impossibili.
È stato il punto di partenza per unire tutte le tecniche che ho potuto apprendere nelle mie varie esperienze lavorative.
Se ti dico “Glug”, tu cosa mi rispondi?
Rispondo: sogni, Ivan, paura, emozioni e felicità. L’idea di Glug nasce dall’unione di varie idee e desideri di Ivan e miei: è la nostra idea di locale “informale” ideale, dove si mangiano piatti salati e dolci, si beve una buona bottiglia di vino ascoltando una canzone dal jukebox. Questo e ciò che stiamo realizzando e speriamo con tutto il cuore che i nostri clienti lo apprezzino. Sarà un locale dinamico e divertente composto da tre stazioni, tre banconi, dove poter gustare piattini dolci e salati da condividere.
Se ti ho capita bene, come credo, so già che questa esperienza non ti basterà. Dopo “Glug”, cosa ti piacerebbe fare?
Sono una persona piuttosto irrequieta e mi trovo sempre a pensare a cosa farò dopo, quali obiettivi mi porrò. Attualmente, sono concentrata al 100% su Glug; non nego però che nel futuro lontano ho un grande desiderio: fare il mio vino nella mia vigna, mettendo così a frutto il mio attestato WSET. Ma questo è un futuro molto distante; ora tutte le mie energie sono su Glug. Cross your fingers!